mercoledì 15 febbraio 2012

Riflessioni sull'avvenire.

Quando pensiamo al domani commettiamo un errore enorme perché, di solito, nel farlo, ci distogliamo dal momento presente. Se il momento presente non è dei migliori ci sembra quasi un dovere saltare più in là. Le ansie e le paure, quel ticchettio mormorante e veloce che sentiamo dentro, sono piccoli allarmi che ci consigliano di riflettere meglio. Che cosa fanno le preoccupazioni? Ci allontanano dagli amici, dall'amore, dalla nostra armonia. Siamo catturati in una rete, e sebbene sappiamo già come funziona, in quei momenti non vogliamo credere che la tempesta finirà, ma che, anzi, diventerà bufera. Siamo quello che facciamo o siamo quello che sentiamo di essere? Sì, perché se guardiamo nel profondo, fra strati sedimentati di preoccupazioni, vissuto sofferto, amicizie rotte, amori come rimpianti, lavori inappropriati, siamo sempre noi, con la schiena un pò curva, ma con un bagaglio di esperienze che pesa e che ci ha fatto evolvere, ci ha fatto diventare quello che siamo sempre stati. E siamo sempre stati ciò che abbiamo sentito. Questa spinta può essere libertà, vissuta in schiavitù, ma è libertà. E' la forza dell'umile. E' acqua che arriva ovunque, conquista. E' l'emozione, è il sentire che ci spinge a fare, anche se spesso siamo costretti a fare per vivere. Cos'è una vita se non sento più niente? Che cos'è l'agire fine a se stesso? Perché corro per andare a lavoro, e soprattutto perché sono sempre in ansia per le verità riconosciute tali, quelle di tutti i giorni? Che cosa ti fa stare veramente bene? E soprattutto perché non provi più a farla? Perché il domani per te è già arrivato, perché ieri hai pensato al domani che arrivava e non ti sei curato del presente. Domani comincio dici...riprendo a disegnare, e compri anche i colori giusto per darti un auto-aiuto. Poi il domani arriva, ma sei troppo stanco, è stata una giornata dura e...non ricordi più che disegnare ti fa stare bene, che debella la stanchezza e riporta il sorriso sul volto rigido, di gesso perché è passato molto tempo dall'ultima volta che hai usato i colori. Il ricordo si è fossilizzato. Ha il colore del deserto, senza vita. E allora! Oggi, che sei nel tuo domani, torni indietro e ancora una volta dimentichi il tuo presente. Non chiediamoci nulla, sentiamoci nel profondo, accettiamoci e, mentre disegniamo, coloriamo il nostro avvenire.  

lunedì 20 giugno 2011

Svago o soluzione: gruppi di idee su Facebook

Bello sapere che ci sono più persone che vogliono cambiare le cose. Si creano gruppi attivi anche su FACEBOOK. Persone sconosciute o conosciute si mettono in gioco e creano gruppi che dal basso spingono per riformare l'Italia. Sono i precari, siamo i precari, che stanchi di subire la schiavitù ci ribelliamo.
Non si deve però dimenticare l'impegno preso. Chi si fa fautore di tali rivoluzioni e chi si scrive deve essere il primo a mettersi in gioco. Ciò significa che deve dedicare molto tempo alla causa. La cosa diventa seria, diventa politica, si sporca. Sembra un gioco quello di creare un gruppo e di iscriversi in un gruppo. Militanti che vivono e lavorano in zone diverse d'Italia che si ritrovano uniti nella voglia di cambiare le cose su FACEBOOK. Lo spirito di aggregazione non è morto, è solo diventato tecnologico. Stiamo lì a ripetere che se scendiamo in massa in piazza, tutti i precari d'Italia, la carretta si arresterebbe di botto. Ma non ci si ribella perché quel poco che abbiamo lo teniamo custodito come l'oro. Ma su FACEBOOK diventiamo leoni. L'etere è una valvola di sfogo.
Gli incontri in salottini virtuali, con persone mai viste prima. "Non mi costa niente iscrivermi" pensiamo.  Intanto mi sveglio la mattina, vado a lavoro e la sera vedo cosa ha fatto il gruppo, uno dei tanti gruppi cui mi sono iscritto. C'è la bolletta salata che devo pagare che è già scaduta, mi arrabbio inutilmente e ricordo che c'è un gruppo che vuole cambiare le cose. Vedo a che punto sono, mi affaccio, ora dico la mia. Praticamente inascoltato. Uno dei tanti personaggi virtuali che nessuno conosce, perché qualcuno dovrebbe rispondermi?
Facciamo qualcosa per cambiare le cose?! Mi sento meglio, ho detto la mia, nonostante tutto, anche se nessuno mi risponde, dico che va bene così. Mi sono sfogato. Mi dico: "Ho tempo per cambiare le cose, il mio lavoro precario mi dà modo e maniera per cambiare le cose, riesco a dedicare parte della mia vita per cambiare quella di tutti, appena apro FACEBOOK vado sul gruppo oppure su Farmeville?"
Giuro che mi impegnerò, ogni giorno mi informerò su cosa stia facendo il gruppo e cercherò di contribuire per cambiare le cose. Proprio per questo ho rinunciato da tempo agli svaghi, vedi Farmille per esempio.
Ora scappo, voglio presentarmi al mio nuovo gruppo... 

 

giovedì 28 aprile 2011

Il significato nascosto della Speranza

Mi rendo perfettamente conto: la speranza non appartiene a questo mondo. Essa piuttosto può appartenere ad altri mondi. Se ne ha nostalgia, come ideale rimane ancorata al nostro sistema-uomo. Essa non esite. Altro non è che bagliore, illusione e ripetuto rimando di migliorie mancanti. E' vita che va via, mentre l'attesa sotto la pioggia non snerva più poiché ha vinto la rassegnazione. Non ha ragione di esistere se non in spiriti falliti o in procinto di esserlo. Nella concezione più alta, spirituale, intesa come Provvidenza essa è due volte più infida. La prima perché abbaglia, la seconda perché è consapevole di farlo. E' gestita e usata per fini d'allevamento. Ma c'è di più. Riflettete insieme a me: se essa esistesse davvero, come mai la sua spinta, il suo stimolo, il suo bisogno di imporsi, la sua necessità non si manifestano in atti che stravolgono le nostre vite? Nonostante la fiducia incondizionata che riponiamo in Lei essa ci annebbia, spingendoci sempre di più nel baratro dei nostri destini, con voce sottile che soffia in noi la speranza del cambiamento. E noi continuiamo a sentire freddo, a coprirci le spalle ormai curve e i volti segnati dal tempo morendo con la speranza di risorgere, perché no! Non bisogna guardare alla speranza per cambiare le cose in un'epoca come la nostra. A guardare indietro, nei momenti bui della storia, la speranza sola poteva salvarci. Essa giungeva e come fiume inondava i nostri destini. Noi ci siamo lasciati cullare dalla speranza dei vari cambiamenti e il risultato è stato un brutto arresto. Il fiume ha portato detriti e rifiuti accumulatisi nel tempo. Bisogna affrontare la speranza eliminando da essa gli elementi ingannevoli. Piegarla alle nostre aspettative. E lo si può fare solo in un modo. Attribuirle significato umano e non divino. Solo quando la speranza non c'è si manifesta l'essenza dell'essere umano. La fiducia che il futuro sia migliore del presente non aiuta nè il presente nè il futuro, e alla lunga produce paradosso. Blocca l'azione e induce a ri-flettere il passato. L'essere umano se spera non agisce e le conseguenze sono nefaste. Se agisce significa che attua il suo futuro e quindi non ha bisogno di sperare. La Speranza è un sedativo. Chi ne è immune riesce a somministralo. Gli effetti collaterali di chi spera sono malinconia, moralismo, ipocrisia e conformismo. La speranza è una luce che ogni essere umano scorge e considera come la sua propria luce, che deve seguire. E' un segno, una scossa, una scintilla che libera l'azione e la meraviglia, quindi la vita. E' ciò che ci tiene in vita con le sue molteplici illusioni. E' la carota per l'asino. L'importante è saperlo. Non è niente di più.

lunedì 31 maggio 2010

Léo Malet e il noir.

Dopo una lunga assenza ritorno a scrivere. Questa volta di letteratura. Léo Malet scrive nel 1948 "La vita è uno schifo", romanzo noir che diventerà una pietra miliare del genere oltre che riferimento sostanziale del noir. La trama è semplice, ma a ben vedere serve da sostegno alla psicologia che la sottende. Il protagonista è un anarchico e sindacalista che rapina banche, fuma e beve e ammazza senza motivo, brutalmente. Ma risulta simpatico o addirittura "tenero" e timido. Ciò che lo spinge a uccidere e a rapinare non è tanto la voglia o l'ideale politico-sociologico, quanto una storpiatura psicologica. Un intimità rubata, un'infanzia ferita. Si avverte fin dall'inizo, dalle prime battute un senso di smarrimento e di inferiorità nei confronti dell'altro, sopperito e colmato dal "sesso" della pistola, prolungamento delle sue paure e del suo inconscio. C'è una storia d'amore comprensibile eppure surrealista, come tutto il romanzo intriso di atmosfere noir e surrealiste allo stesso tempo. Un amore che non si traduce in passione, pur volendola accenare, né in tenerezza. Non è freddezza quella che traspare, ma indifferenza. Léo Mallet abilmente riesce a equilibrare i vari elementi che caratterizzano il romanzo, tant'è che infine ogni gesto del protagonista viene vissuto fino in fondo, ma non rimane come ferita, semmai come lieve graffio. L'atmosfera cupa e ombrosa non è opprimente. Dietro la vicenda surreale di Jean c'è la vita. Per questo non sconvogle. Il reale descritto cosi abilmente diventa surreale, eppure è tutto, anzi sembra tutto vero. La frase "la vita è uno schifo", che dà il titolo al romanzo, viene ripetuta più volte proprio per riportare il lettore alla vita vera. Intrecci polizieschi (meccanici risvolti in questo senso) non ci sono e, diciamo, meno male. Un uomo può uccidere per noia, per indifferenza, per ideologia, per sport, per problemi psicologici. Per solitudine, per complessi di inferiorità. Nelle atmosfere fumose e alcooliche di questo noir dell'imminente dopo guerra, si uccide un pò per tutti questi motivi e nessuno in particolare. Nuvole di fumo, odore dolce del sangue, polvere da sparo, rum, Gloria, lo psicanalista che "svela" la mente malata, la pazzia surreale che porta Jean a costituirsi, rivoltelle alla mano, alla polizia. Tutto può essere scontato, già visto, anche al cinema. Ma è il primo noir della storia e ha fatto culto. Perché dietro la trama c'è qualcosa che pulsa e sa di vita e "la vita è uno schifo". In fondo. Per un motivo o per un altro. Abbiamo tutto (schifo compreso), ci manca solo una rivoltella.

mercoledì 8 aprile 2009

Impermanenza...ancora...

Impermanenza...concetto non assorbito dalla nostra coscienza perché non abituata al suo insegnamento. Siamo di passaggio, per compiere una nostra 'attuale' missione. Una vita, una ricerca per l'evoluzione individuale e di specie. E' il nostro spirito che prende corpo, i pensieri si incarnano. Siamo un tutt'uno, anima e corpo. La filosofia occidentale divide le due cose. C'è stata una mistificazione, un nascondimento. Il mondo è una barriera che propone ostacoli per la nostra evoluzione. Ogni comportamento, ogni atteggiamento è frutto di un'abitudine. Sradicare questa abitudine è un passo verso la vita, quella vera e non dettata. Ogni cosa deve essere posta a servizio della nostra ascesa. Ogni nostro atto è sacro, nel senso che è tassello e pietra di giuntura per altri nostri atti. Ci costruiamo una strada, ma dobbiamo sapere quale. Vi siete mai posti il senso della vostra vita, non solo della vita in generale? Perché voi, ognuno preso individualmente, è quello che è? A che cosa serve, perché serve, perché è? Come mai è nato in quel posto anziché in un altro? Come mai ha quelle e altre esperienze? Ognuno di noi è un mondo che incontra altri mondi. Dal dialogo sincero nasce l'evoluzione dell'individuo in quanto portatore di una determinata via. Si parla di linea di sangue, ma anche di linea dialogica per indicare che molte persone, pur non appartenendo allo stesso ceppo, hanno idee simili. Abbracciare un'idea piuttosto che un'altra. La scelta, come scelta e decisione di vita, è importantissima. Può passare una intera vita, anche due, prima che si prenda coscienza che quella e proprio quella, è la strada giusta. La riflessione può durare secoli perché la scelta è importante. "Non c'è altro Dio fuori di me". Non abbasserò la testa di fronte alle vostre leggi, ai vostri sistemi, ai vostri soprusi. Io vivo nell'Impermanenza. Niente è statico e immortale. Neanche le mie convinzioni. La coerenza è ignoranza e porta tirannia.

venerdì 6 marzo 2009

Sì...Signore!!!

Dio-Satana, ovvero doppia menzogna. Qualcuno crede ci sia un'eterna lotta tra questi due poli discordanti dell'essere uomo. E che il luogo in cui si disputa la battaglia sia il nostro cuore. Rappresentazioni di angeli e demoni dovrebbero meglio farci "vedere" ciò che abbiamo dentro di noi. Il mondo è di Dio o di Satana? Dio è irascibile e duro, ma anche misericordioso e caritatevole? Rassegnazione e accettazione con uno spruzzo di obbedienza di contro ad una rabbia che diventa ribellione e distruzione? Qualcuno ha detto che Dio è muto, altri aggiungono che sia anche sordo, tutti pensano che sia cieco. Qualche pazzo suidida si è spinto a dire che è addirittura morto. Abbandonati a noi stessi abbracciamo il mondo e le sue illusioni. Per pochi anni, neanche 100, ma ci promettono l'eternità. Mistificazione di vecchi scritti, deformazione di concetti. E' un circolo perenne di nascita e morte quella che chiamano eternità. Dall'alto di una finestra e non dall'alto dei cieli qualcuno controlla le nostre coscienze. Crediamo a valori di umiltà e povertà e soprattutto di compassione e amore caritatevole proferite da un capo di stato, vestito come un sacerdote senza macchia. Ricchi e distaccati. Ma qualcuno dirà: "Sono d'accordo, ma io non guardo gli uomini, guardo Dio". E allora perché vai a trovare Dio a casa loro?
Altre forme di controllo vengono studiate, saremo tutti d'accordo e non ce ne accorgeremo neanche quando saranno attuate, perché ormai le nostre coscienze sono guidate da tempo. Il mio Dio non si rassegna più, non si umilia più, non accetta più soprusi. Il mio Dio puzza di fango e di argilla, è polvere, è misero e solo. E' vuoto, e sa bene di esserlo. Per questo non ha paura. Non teme il vuoto abissale che è.
Anche Hitler predicava di una Grande Germania in cui tutti, ariani, dovevano essere alti, biondi e con gli occhi azzurri. Mi chiedo: "Come hanno fatto i tedeschi (e tutti gli altri uomini, di altre nazioni, a permettere questa pazzia?) a riconoscersi in lui, piccolo, con i capelli neri e gli occhi neri?" Non avevano occhi, erano sordi e, muti, non riuscivano a replicare? Un pò come il vostro Dio..."Ingrassiamo i porci...meglio non avere una coscienza...meglio che altri pensano a queste cose...con tanti problemi devo pensare pure a queste cose?" Avere una coscienza significa credere in qualcosa, prendere decisioni in merito a tutto perché ci si pensa senza nessun filtro, compresi quelli televisivi e religiosi...tutto è lecito nella coscienza...loro lo sanno...Dio e Satana vanno a braccetto nella coscienza...bisogna avere altri occhi per guardare...occhi fermi...bisogna non avere paura...potremo ribellarci solo quando ce lo permetteranno...e crederemo che sia stata una nostra decisione quando questo avverrà...siamo pilotati...votiamo perché si deve votare anche se tra i due candidati la differenza di puzza non esiste...vediamo Sanremo anche se ci fa cagare "giusto perché in tv non c'è niente, almeno mi fa compagnia". Ti inquina comunque...sei tu che devi cambiare, non aspettarti che cambi chi sta al potere...ma se preferisci essere pecora allora non ti lamentare se senti un pò di dolore!!!

martedì 3 febbraio 2009

Operaio dell'anima

Si deve compiere tutto ciò che è possibile per conoscere la propria aspirazione e seguirla. La vita lo impone. E' una necessità del vivere. Dopo non si deve fare altro che aspettare.
Per il raccolto può passare del tempo e i dubbi possono sorgere improvvisi. Si ha quindi a disposizione un'eternità per continuare a conoscersi. Piccoli segnali arrivano invitando a correzioni, a cancellazioni, a piccole sterzate, deviazioni di percorso, oppure giungono come conferme. Ci si riposa come guerrieri che hanno compiuto grandi battaglie, ci si distende in un angolo a guardare quella vita che fino a un momento prima si stava fattualmente e operativamente costruendo. Sembra che non si riesca ad intervenire sulla vita se non ci si vede e pensa come persone attive, ma è anche da fermi, immobili che si può costruire. Si guarda l'opera con occhi calmi e si rimane soddisfatti, si può intervenire correggendo o migliorando, ma si decide che ora è tempo di riposare. Non è fuga, non è apatia. Come ragni che hanno tessuto la tela aspettano la preda o come serpenti pazienti e immobili, siamo pronti ad attaccare la vita, a fare quello scatto preparato da tempo. Abbiamo lavorato per essere liberi in un mondo libero. Al momento la prigione non può fare altro che rendere ancora più preziosa la nostra libertà, quella che sentiamo e seguiamo. E che raggiungiamo ad ogni pensiero che inviamo, ad ogni movimento che facciamo, ad ogni attesa in cui moriamo. Sappiamo che la crisi e la morte portano insieme la rinascita. Sappiamo di essere belle persone e di aver lavorato tanto. Questo lo sa chiunque ci conosce e l'universo intero. Come Giobbe avremo il nostro premio, per le nostre capacità, per la nostra determinazione, per le persone care che ci supportano, perché lo sentiamo e lo sappiamo. Perché lo abbiamo voluto e ci abbiamo creduto. Perché la vita è quella che ognuno di noi si crea e si sceglie. Oggi, in un angolo, riposo, ma vedo quello che ho costruito e nel buio in cui rilasso gli occhi scorgo la luce che mi attende. E' già mia. Mi alzo e le vado incontro.